A metà dicembre, con la legge di Bilancio ancora impantanata in Commissione, il governo tira fuori “dal cilindro” altri 3,5 miliardi e la manovra cambia di nuovo pelle. Per l’opposizione è il segno di una gestione “nel caos”; per la maggioranza, la prova che ci sono margini per aggiustare il tiro. Ma dove finiscono davvero quei soldi? E soprattutto: quali sono le scelte politiche che questa manovra sta facendo passare in silenzio?
Antonio Misiani, responsabile economico del Partito democratico, legge la partita tutta insieme: dal fiscal drag all’Irpef sul ceto medio, dal costo dell’energia alle politiche industriali, fino ai capitoli più controversi — pensioni, tetto al contante, Ponte sullo Stretto e riarmo. Nell’intervista a Today.it parla di “manovra senza visione” e “omeopatica”, avverte sul rischio che il contributo chiesto a banche e assicurazioni venga scaricato sui clienti e rivendica le priorità che il Pd avrebbe messo al centro: potere d’acquisto, sanità, investimenti e una strategia per far ripartire la crescita.
Onorevole Antonio Misiani, responsabile economico del PD, se avesse dovuto scriverla lei questa manovra, su che cosa avrebbe puntato?
“Avremmo puntato su tre priorità. Primo: sostenere davvero il potere d’acquisto delle famiglie, sterilizzando il fiscal drag, concentrando il taglio dell’Irpef sul ceto medio, introducendo un salario minimo legale, misure per accelerare i rinnovi contrattuali e per rafforzare l’equo compenso per autonomi e professionisti. Secondo: un ambizioso piano di politiche industriali per la crescita, con un programma pluriennale di incentivi per gli investimenti innovativi delle imprese, politiche per sostenere la conversione ecologica dei settori più impattati dalla transizione e misure per tagliare drasticamente i costi dell’energia. Terzo: rifinanziare la sanità e i servizi pubblici essenziali, che sono in sofferenza e vanno sostenuti”.
Arrivati quasi a dama con la manovra, il ministro Giorgetti tira fuori dal cilindro altri 3,5 miliardi. L’opposizione è insorta parlando di “caos”. Ma non dovreste essere contenti che ci siano soldi in più per alcune materie comunque importanti?
“Beh, il caos nella gestione della manovra è sotto gli occhi di tutti. Siamo oltre metà dicembre e la Commissione Bilancio del Senato non ha votato nemmeno lo straccio di un emendamento. Il governo ha riscritto la manovra, ma dentro gli emendamenti del governo non ci sono solo i soldi in più per l’industria, che vanno bene e vanno anche nella direzione delle nostre proposte”.
E allora perché vi lamentate?
“Perché c’è una vera e propria stangata sulle pensioni, con la sterilizzazione parziale del riscatto della laurea e l’allungamento delle finestre mobili, e una riforma della previdenza complementare non discussa con le parti sociali. L’esatto contrario di quello che la destra aveva promesso di fare alle Politiche del 2022. C’è la riprogrammazione degli stanziamenti per il Ponte sullo Stretto di Messina. Insomma, tante cose nuove senza che la Commissione Bilancio abbia avuto il tempo di valutarle con la dovuta attenzione”.
Tra le altre misure è venuta fuori di nuovo l’idea di innalzare il tetto del contante. L’opposizione ha duramente criticato questa ipotesi. Ma, obiettivamente, aver abbassato il tetto in passato ha contribuito a limitare l’evasione o ha solo complicato la vita alla gente?
“La via maestra per combattere l’evasione è rendere tracciabili i pagamenti. Alzare il tetto al contante va nella direzione esattamente opposta. Alzarlo introducendo un balzello da 500 euro, come sembra voglia fare il governo Meloni, è una cosa mai vista. Chi volete che possa approfittare di questa norma? Di sicuro non le persone normali, ma solo quelle che hanno interesse a usare i contanti per fare nero o peggio”.
Non crede che gli impegni internazionali, non da ultimo quello sul potenziamento della Difesa, abbiano in qualche modo influito sulla prudenza del governo?
“Meloni e Giorgetti hanno scelto di tirare a campare, varando una legge di bilancio senza visione e senza strategia. Tranne che su un punto: il riarmo. Nel Documento programmatico di bilancio il governo ha scritto nero su bianco che, nel giro di tre anni, la spesa militare dovrà aumentare fino a mezzo punto di Pil in più. Sono oltre 22 miliardi di spesa aggiuntiva. Un’enormità. La verità è che l’accordo Nato accettato dal governo è semplicemente insostenibile. E la prudenza sui conti non basterà: per arrivare al 5 per cento del Pil sarà necessario aumentare le tasse e tagliare la spesa sociale”.
Sempre a questo proposito, la segretaria Schlein ha da una parte criticato l’idea di spendere più per le armi, dall’altra si dice favorevole a una difesa europea: vista in un’ottica economica, di spesa, pare una contraddizione. Sempre soldi occorrerà tirar fuori: secondo lei dove andranno presi?
“Dopo gli Stati Uniti, l’Europa è la realtà geopolitica che impegna più risorse per le forze armate. Spendiamo di più sia della Cina che della Russia. Il problema è che queste risorse sono disperse in 27 bilanci nazionali e servono a finanziare 179 sistemi d’arma, contro i 33 degli Stati Uniti. Una cooperazione più stretta, sotto il profilo industriale e nei programmi di approvvigionamento, potrebbe generare enormi economie di scala. Andare in ordine sparso vuol dire gettare molti soldi dalla finestra e sottrarre risorse preziose per la sanità, l’istruzione e gli investimenti. Per questo dobbiamo seguire con decisione la strada della difesa comune europea”.
Una delle cose di cui più si è parlato di questa manovra è stato il prelievo su banche e assicurazioni. Bene o male, si è trattato di una misura “di sinistra”. In cuor suo non ha un po’ invidiato la maggioranza?
“Invidiare questa maggioranza è francamente difficile, mi creda. Certo, che banche e assicurazioni dovessero contribuire di più era nelle cose. Noi siamo sempre stati a favore della tassazione degli extraprofitti. Il governo però si è dimenticato di inserire una norma che vieti di trasferire sui correntisti e sugli assicurati il contributo chiesto al settore finanziario. Il rischio è che gli undici miliardi di contributo vengano scaricati, dal primo all’ultimo euro, sui clienti delle banche e delle assicurazioni. Sarebbe inaccettabile. Noi abbiamo presentato un emendamento su questo punto. Speriamo che il governo lo accolga”.
La manovra è obiettivamente prudente o timida, o rinunciataria a seconda dei punti di vista. Si dice perché il governo vuole tenersi le mani libere l’anno prossimo per l’ultima finanziaria prima delle elezioni. Temete qualche operazione acchiappavoti a ridosso del voto?
“A pensar male si commette peccato, ma spesso si azzecca. Siamo in tanti a pensare che il governo si sia tenuto qualche riserva per la prossima manovra. Vedremo: dipende da come ci arriviamo, all’anno prossimo. Di sicuro, oggi siamo di fronte a una manovra omeopatica, la più modesta dal 2014”.
La premier punta al rientro della procedura di infrazione, sottolineandone anche l’effetto positivo per lo spread e i conti pubblici. Non crede che, in ogni caso, la stabilità e uno spread basso siano un beneficio per le tasche degli italiani?
“La stabilità e lo spread basso sono notizie senza dubbio positive. Ma non si traducono automaticamente in migliori condizioni per le famiglie e le imprese. La verità è che l’Italia è intrappolata in un modello economico a bassa produttività e bassa crescita: un sistema frammentato che troppo spesso ha basato la propria competitività sulla compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori”.
Si parla molto di rilanciare il potere d’acquisto delle famiglie, e la segretaria Schlein ha ricordato come “il frigorifero è vuoto”. Quali sono le vostre ricette per la crescita, senza limitarsi solo a misure ridistributive?
“Noi abbiamo bisogno innanzitutto di una robusta strategia di politica industriale: un programma pluriennale di incentivi per gli investimenti in tecnologie innovative e formazione; un fondo per la conversione ecologica dell’industria, a partire dai settori maggiormente in difficoltà con la decarbonizzazione; un piano per sostenere i comparti più colpiti dal ritorno del protezionismo; una governance più razionale delle politiche di sostegno delle attività produttive. In secondo luogo, occorre intervenire con coraggio per tagliare i costi dell’energia, che oggi sono il principale fattore di svantaggio competitivo per le imprese italiane”.
Qual è la strada da seguire?
“Favorire l’autoproduzione di energia rinnovabile delle imprese, scollegare per via contrattuale il prezzo dell’elettricità da quello del gas e ridurre gli oneri impropri, diffondendo i contratti di acquisto di lungo periodo, facendo funzionare l’energy release, togliendo dalle bollette i canoni straordinari per il rinnovo delle concessioni per la distribuzione elettrica. Terzo punto: il sistema fiscale. Oggi è nemico della crescita, perché premia la rendita e penalizza chi lavora e chi fa impresa. Questo assetto va radicalmente cambiato, altrimenti l’Italia non riparte”.
Nell’ottica della costruzione di un’alternativa di governo, la legge di bilancio si è dimostrata un’occasione utile a impostare politiche comuni tra le varie forze del centrosinistra?
“Direi proprio di sì. Per la prima volta abbiamo presentato tutti insieme una risoluzione sul Documento programmatico di finanza pubblica, firmata da Pd, M5s, AVS, Italia Viva e Più Europa. In Senato, tutti insieme abbiamo presentato e segnalato un pacchetto di 16 emendamenti condivisi, che affrontano i nodi principali della manovra: dal fiscal drag al salario minimo, dalle politiche industriali alla sanità e alla sicurezza. È stato un passaggio importante, un primo passo molto concreto verso la costruzione di un programma comune per il governo del Paese”.
Fonte: Today