va invertita la rotta.

“Ne usciremo migliori”, lo abbiamo sentito dire all’esaurimento nei giorni dell’emergenza del Covid 19. Non era un secolo fa, eppure, a giudicare dalle fotografie impietose dello stato di salute del nostro sistema sanitario, sembra che ne siamo usciti, al contrario, alquanto male in arnese. Così il diritto universale alla salute sancito in Costituzione, all’articolo 32, è diventato progressivamente sempre meno esigibile. Soprattutto per alcuni.

La difesa della sanità pubblica è in testa alle priorità della manovra alternativa presentata dal Partito democratico. Quale sia il modello di sanità che si sta delineando e quale quello che vogliamo lasciare alle prossime generazioni lo chiediamo a Marina Sereni, responsabile Salute e Sanità del Partito Democratico.

Siamo allarmati per due fenomeni che registriamo ogni giorno con crescente gravità. Da un lato crescono le diseguaglianze sociali e territoriali, con 3 milioni di italiani che rinunciano a curarsi perché non hanno sufficienti risorse proprie per rivolgersi al privato e non trovano risposte adeguate ai loro bisogni di cura nel servizio pubblico. Dall’altro tra i professionisti del comparto sanitario pubblico, aumentano malessere e insofferenza per retribuzioni basse, turni massacranti, carenze di personale che producono inevitabilmente difficoltà a garantire servizi. Medici infermieri e professionisti sanitari sono già scesi in piazza con alcune sigle sindacali il 5 dicembre, il 18 incroceranno le braccia su iniziativa di altre organizzazioni sindacali del settore. Se in tre anni 21.000 medici sono andati all’estero, se mancano circa 65.000 infermieri e i nostri giovani non si iscrivono più al corso di laurea in Scienze infermieristiche, capiamo che bisogna urgentemente intervenire per rendere di nuovo attrattivo lavorare nel Servizio Sanitario Nazionale e rispondere così ai bisogni di salute dei cittadini e delle comunità. Stanno scricchiolando seriamente i pilastri del modello sanitario voluto da Tina Anselmi nel 1978: una sanità pubblica, di stampo universalistico, basata su principi di equità, gratuità, eguaglianza, solidarietà. Senza teorizzarlo, la destra ci sta portando ad un graduale scivolamento verso un modello che fa prevalere il privato sul pubblico e che penalizza i ceti e le persone più fragili. Per queste ragioni il Partito Democratico da mesi sta sviluppando una straordinaria mobilitazione per il diritto alla salute di tutti e per la difesa della sanità pubblica.

Venendo all’oggi, il governo continua a ripetere che in legge di bilancio vengono stanziate nuove risorse aggiuntive su questo capitolo quante mai prima. È così?

Non è così, purtroppo. Non lo diciamo solo noi dalle opposizioni, basta andare a leggere le audizioni delle autorità indipendenti in Senato. La Corte dei Conti scrive che con questo livello di finanziamento si rischia di peggiorare la qualità dei servizi; l’Ufficio Parlamentare di Bilancio avverte che i 3 miliardi aggiuntivi non copriranno le spese previste dalla stessa Legge di Bilancio. D’altra parte anche i testi ufficiali del Governo dimostrano che il Fabbisogno Finanziario Nazionale passa dal 6,7 al 6,4% rispetto al Pil per precipitare al 6,1% nel 2026, allontanandoci sempre di più non solo dai Paesi più avanzati – la Germania è al 10,9%, la Francia al 10,1% – ma anche dalla media europea che si attesta al 7,1%.

Mettendo i piedi per terra, ci spiega quali sono le prime tre azioni urgenti e necessarie per far sì che il SSN risponda in maniera efficace alla domanda di salute pubblica?

Bisogna invertire il trend al definanziamento della sanità per raggiungere in tempi ragionevoli un livello di spesa del 7,5% sul Pil. Mancano all’appello almeno 20 miliardi di euro, non si può fare in un solo esercizio finanziario. Serve un processo pluriennale e graduale. La seconda emergenza è quella del personale, bisogna eliminare un obsoleto tetto alla spesa per il personale e promuovere un piano straordinario triennale di assunzioni di professionalità che mancano, sia nelle strutture territoriali che in quelle ospedaliere. In terzo luogo è necessario rafforzare la medicina di prossimità, attraverso la creazione di una rete di Case della Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali (come da Decreto Ministeriale 77 del 2022) e un rinnovato investimento sulla salute mentale, sui consultori, sulla prevenzione.

Come si arriva a questi obiettivi e con quali coperture economiche?

Si tratta di fare scelte politiche chiare. Per noi, questa è una priorità assoluta. Per il Governo lo è? Al di là della propaganda, ahimè, mi sembra che gli atti siano chiari. Oltre al mancato finanziamento della sanità, ricordo che la legge di Bilancio taglia i fondi per la disabilità, non finanzia la riforma sulla non autosufficienza e introduce una norma sulle pensioni che spinge migliaia di medici e infermieri a lasciare il servizio. L’emendamento presentato dal Governo sul nodo pensioni attenua il taglio solo per chi ha già raggiunto i requisiti di anzianità mentre resta una pesante penalizzazione per tutti gli altri.

Sul 7.5% di spesa sanitaria annuale sul PIL convergono anche le Regioni, che gestiscono le politiche sanitarie, e anche le altre opposizioni? Si riesce a lavorare insieme?

Le Regioni vivono una fase di grande criticità. Dopo lo stress del Covid, e nonostante le risorse straordinarie che il Ministro Speranza riuscì a stanziare, oggi, di fronte alla riduzione dei fondi, anche le più efficienti sono ad un bivio: tagliare i servizi o non raggiungere il pareggio di Bilancio. Emilia Romagna e Toscana, sempre ai primi posti per qualità dei servizi, hanno proposto una legge di iniziativa regionale rivolta al Parlamento sui due punti che ho richiamato: 7,5% del Pil e abolizione del tetto per le spese del personale. È significativo che la proposta sia già stata approvata anche dal Piemonte e dalle Marche, entrambe governate dal centrodestra. Con le altre opposizioni – M5S, AVS, Più Europa, PSI – abbiamo presentato in Parlamento emendamenti comuni che si muovono secondo questa stessa linea. Purtroppo il confronto sulla Legge di Bilancio ora in discussione al Senato non consente molte speranze, data la sordità e la indisponibilità della maggioranza e del Governo. Ma noi continueremo anche oltre l’approvazione dell’attuale manovra finanziaria perché la situazione della sanità pubblica è troppo grave e urgente.

Allargando la prospettiva, e l’orizzonte, da più parti si sottolinea come l’ultima riorganizzazione del SSN abbia ormai 25 anni, un tempo che contiene un mondo di cambiamenti. Cosa va ripensato, e come?

La società italiana del 2023 è molto diversa da quella del 1978 per la quale fu scritta la Riforma Sanitaria. È cambiata la demografia, gli anziani sono molti di più e diminuiscono i nuovi nati. Ciò, oltre a porre in prospettiva un tema di sostenibilità finanziaria del SSN, in termini di bisogni di salute, comporta un aumento delle cronicità che devono trovare risposte nel territorio più che in ospedale. Il progresso scientifico, tecnologico e farmacologico offre nuove e straordinarie possibilità di cura e guarigione. Anche questo chiede innovazioni organizzative e una riflessione sul modello che vogliamo perseguire. Credo che per le forze progressiste, che vogliono difendere un modello centrato sul ruolo del pubblico e sulla equità tra i cittadini, si imponga l’esigenza di una riflessione di fondo, per aggiornare gli strumenti di governo del sistema e per ripensare l’organizzazione complessiva. Dobbiamo fare tesoro delle lezioni del Covid e vedere il nesso tra salute ambientale, animale e umana. Lavorare verso un approccio olistico che gli esperti definiscono “la salute in tutte le politiche” e dunque investire sempre di più su prevenzione, stili di vita sani e modelli di produzione e di consumo sostenibili. Vedo su questi temi un terreno di lavoro comune tra tutte le opposizioni ma anche tra la politica, le competenze scientifiche e professionali, il mondo del Terzo Settore.

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